martedì 7 marzo 2023

Perché Gogol' è il padre del romanzo russo. E non solo

Gogol' e il romanzo Le anime morte 

Lo scrisse e lo riscrisse, dopo averne distrutto parti a più riprese, per quasi 20 anni: una gestazione lunga quasi quanto quella del capolavoro manzoniano, I promessi sposi. Eppure Le anime morte di Gogol possono a buon diritto considerarsi, se non il prototipo, almeno lo stampo e l'ispirazione di tutti i grandi romanzi russi del diciannovesimo secolo. Da Turgenev a Dostoewskij a Tolstoj, tutti si sono rifatti ai temi, ai personaggi, alle suggestioni di Gogol, che in Italia resta conosciuto soprattutto per i suoi spiazzanti racconti surreali, prove magistrali nelle quali egli esercitava la sua sbrigliatissima fantasia. 

Le avventure di Cicikov.

La censura impedì inizialmente la pubblicazione della parte prima del romanzo con il titolo che oggi conosciamo: anime morte collideva con l'insegnamento teologico, filosofico e morale - nell'ordine - che vuole l'anima immortale. Eppure Gogol' non intendeva minimamente sabotare quest'articolo della fede cristiana. Le anime morte cui alludeva altro non erano che i servi della gleba passati a miglior vita tra un censimento e l'altro. Anime burocraticamente vive - tanto che i padroni seguitavano a pagarne le tasse fino al nuovo censimento che ne avrebbe accertato la dipartita - ma concretamente morte. E Cicikov, il singolarissimo protagonista del romanzo, dopo aver già due volte fatto e perso una grande fortuna, va in giro per la Russia a comprare anime morte da tutta una serie di proprietari, che Gogol' descrive con talento impareggiabile. Cicikov compra quel che nessun ha mai comprato, compra delle ombre, che pure, per la legge, sono ancora motivo d'imposizione fiscale. Compra per poco, d'altra parte. E trova chi sia disposto a vendergli. Con quelle anime morte, che fanno di lui, sulla carta e sempre solo sulla carta, un proprietario, spera nell'assegnazione di terre in qualche governatorato lontano, situato chissà dove in una Russia sconfinata, più sconfinata che mai sotto la pungente penna gogoliana. 

I debiti verso Gogol'.

Il personaggio di Levin, deuteragonista di Anna Karenina, ha somiglianze importanti con Korazlogo, cognato di un provvisorio compagno di viaggio di Cicikov. Egli è un eccellente amministratore del suo villaggio, un fisiocratico, che nella terra ogni giorno riconosce e riscopre il fondamento di ogni benessere, non soltanto materiale. Un uomo guidato da una straordinaria etica del lavoro, del negozio, nec otium, come sola salvezza contro il padre di tutti i vizi. L'ozio, appunto. Il lavoro e la terra, come sola possibile salvezza dalle tentazioni recate dal tempo libero, dal lusso e, in buona sostanza, dalla medesima modernità. Se Korazlogo non è Levin, è idealmente un suo fratello maggiore.

giovedì 15 settembre 2022

Viaggio al termine della notte di Céline: breve recensione

Se dovessi indicare il tema decisivo di un libro che fece scandalo sin dalla sua pubblicazione, Viaggio al termine della notte di Céline, sceglierei reducismo. Il protagonista del romanzo, Bardamu, è reduce fin dall'inizio. Prima è reduce dalle sue illusioni giovanili, che svaniscono con l'arruolamento volontario nell'esercito francese avviato alla Grande Guerra; poi è reduce dalla guerra medesima, che lo lascia malato, spossato, confuso e cinico, soprattutto cinico; poi è reduce dall'avventura coloniale, dove sperimenta l'avidità e le bassezze di un mondo quasi irreale; quindi dall'industria alienante della Ford a Detroit; infine dalla professione che esercita di malavoglia nella periferia parigina come medico condotto malpagato e, successivamente, in una clinica per alienati, come un secolo fa si chiamavano le persone affette da disturbi psichiatrici. Questo è il viaggio che Bardamu compie fino al termine della notte, scendendo ogni volta un gradino verso la solitudine e la rassegnazione, dentro un buio appena rischiarato da qualche incontro, che comunque non basta e non redime. Come quello, in Africa, con Alcide, che a Bardamu non è simpatico,  ma che dura una vita di rinunce per puro altruismo verso una nipote lontana, che mai ha conosciuto; come quello con Molly, a Detroit, pura nonostante tutto, ingenua, disinteressata, accogliente. Per il resto, tutto è dolore, tutto è abiezione, tutto è declino e rovina. Mentre si tira avanti, solo per sperimentare l'inutilità di ogni sforzo, di ogni genuina ambizione di bene. Fino alla tragica scomparsa di Leon Robinson, curioso antieroe, vigliacco per eccellenza, che con Bardamu si ritrova un poco ovunque, condividendone le sconfitte. Che sia un grande romanzo, questo di Celine, non v'è dubbio. Che valga invece la pena di leggerlo, beh, qualche dubbio mi resta. Certe descrizioni, quelle terribili delle condizioni di vita nella giungla per esempio, sono troppo accurate, ripetitive, sfiancanti. E il romanzo stesso, a lungo andare sfianca, lasciando il lettore, almeno il lettore che io sono stato, se non più povero, certo non più ricco. Nessun conforto, nessuna speranza. Un nichilismo spinto e sconsolante. Una formidabile critica sociale ed esistenziale, quella c'è nel romanzo, senza, però, la minima via d'uscita. E questo mi pare un grande, grandissimo limite.

mercoledì 15 giugno 2022

La giustizia secondo Dürrenmatt

Meriterebbero tutti di essere riletti, i libri di Dürrenmatt, specialmente in Italia, già culla del diritto che, della giustizia, sembra aver smarrito idea, senso e significato. Per lo scrittore elvetico la Giustizia, con la maiuscola, è un paradosso, che si scontra con il mondo reale e lascia, può lasciare, impunite colpe anche gravissime. Ma, di quale Giustizia parla Dürrenmatt? Il viaggiatore protagonista di quello spiazzante e surreale racconto - o romanzo breve - che è La Panne, non ha violato la legge. E nessuno potrebbe imputargli, dentro un tribunale, alcunché. L'antagonista del commissario Barlach nel romanzo Il giudice e il suo boia finisce per pagare un crimine non commesso in luogo di uno di cui era rimasto - e sarebbe rimasto - impunito. La giustizia sembra impossibile eppure Dürrenmatt, attraverso i suoi personaggi, la cerca senza sosta. Ma, non la trova. Da ateo, non riesce a trovarla. Di qui il sentimento di sconforto che trasmettono le sue opere, pur straordinarie per concezione e originalità. Si è fatto, dopo tutto, le stesse domande di Dostoevskij, è stato arrovellato dagli stessi dubbi, ma vi è rimasto intrappolato. I suoi eroi sono maschere tragiche, che non trovano un senso alla sofferenza e rifiutano ogni redenzione, ogni possibilità di riscatto. L'amarezza, la costatazione  rassegnata delle umane bassezze, domina tutte le sue pagine. I temi dei suoi libri, che un tempo piacevano tanto ai giuristi, meritano tuttavia di essere tenuti presenti ancora oggi. Il fatto che non abbia trovato le risposte non toglie che si sia posto tutte le domande.

martedì 26 aprile 2022

I 10 personaggi più antipatici della letteratura

Un romanzo che funzioni, al netto di tutte le sovrastrutture cervellotiche che spesso dominano la critica contemporanea, è un romanzo che sappia suscitare e trasferire emozioni. Positive o negative che siano. E tanto ottengono i personaggi più riusciti, gli eroi e gli antagonisti e tutti gli altri a seguire. Per una volta, occupiamoci dei personaggi negativi, di quelli insopportabili, di quelli capaci di dare sui nervi. Alcuni di loro hanno incarnato i tipi umani più detestabili. Propongo una classifica. Cosa ne pensate?

10. Uriah Heep (David Copperfield di Charles Dickens)

Heep è, a modo suo, un personaggio omerico. Il contrario del καλὸς καὶ ἀγαθός (bello e buono, bello e valoroso). Heep è come il Tersite dell'Iliade, brutto e portatore di tutte le bassezze. Alto, allampanato, rosso di capelli, untuoso, sfuggente, si finge umile, ma delira di onnipotenza. Contende Agnes a David Copperfield. 

9. Sir Roger Carbury (La vita oggi di Anthony Trollope)

Bello e fascinoso, ma vuoto e stolido. Seduttore seriale. Finisce riempito di botte, come in una storia pulcinellesca, quando le sue mire si dirigono verso una florida donna del popolo.

8. Rogozin (L'idiota di Fedor Dostoevskij). 

Antagonista del principe Myskin. Ha un'aura maligna, un volto perennemente angustiato. La sua passione per Nastas'ja lo divora. Non ha regole morali, succube di un istinto distruttivo, che non conosce empatia.

7. Javert (I miserabili di Victor Hugo).

Poliziotto incorruttibile, che pare, non so quanto intenzionalmente, la caricatura di Robespierre, l'incorruttibile per eccellenza. Perseguita Jean Valjean per tutto il romanzo. Gli dà la caccia e non lo dimentica, anche dopo averlo perso di vista. Quando Valjean gli salva la vita, incredulo, Javert non lo arresta, in un soprassalto inaspettato di gratitudine. Ma un mal calcolato senso del dovere lo spinge a una fine tragica. Uomo senza Dio e, perciò, pascalianamente condannato alla tristezza.

6. L'Ambasciatore (L'agente segreto di Joseph Conrad).

Uomo oscuro, spinge il riluttante agente segreto Verloch a smuovere le acque, disegnando un manuale ante litteram di strategia della tensione. La politica fa premio su tutto, la politica non ha regole morali. Agire nell'ombra, per raggiungere scopi noti a pochi. Questa è la via che l'ambasciatore indica allo sfortunato protagonista di questa straordinaria opera di Conrad, che, da sola, spiega la miseria che si nasconde dietro tanti apparenti misteri della storia recente.

5. Stavrogin (I demoni di San Pietroburgo di Fedor Dostoevskij)

Colto, dotato di una forza spaventosa, è un uomo duro e indurito, che emana una fascinazione oscura. Un nichilista autentico, che incarna il vuoto pneumatico di una generazione perduta, attirata da finti miti rivoluzionari per l'incapacità di accogliere la vita come dono. Stavrogin è il contrario perfetto del principe Myskin, il cuore puro di un altro capolavoro di Dostoevskij: L'Idiota.

4. Vronskij (Anna Karenina di Lev Tolstoj)

Di lui s'innamora perdutamente Anna Karenina. Di lui che è uomo senza alcuna qualità, tolta l'avvenenza, senza alcuna volontà, tolta quella di perseguire ogni suo capriccio, svezzato all'egoismo da una madre che lo idolatra e che lo svia. Perdigiorno, sfaccendato, trascorre da una festa a un festino e alimenta l'idea romantica dell'amore folle, totalizzante, esclusivo e distruttivo di Anna.

3. Don Rodrigo (I promessi sposi di Alessandro Manzoni)

Il simbolo del potere impunito, l'uomo superbo per eccellenza, il prepotente, il sopraffattore. Fa rapire Lucia, vive nel peccato. Ma non ha coraggio e trema di fronte all'avvertimento di fra Cristoforo. 

2. George Vavasor (Potete perdonarla? di Anthony Trollope)

Cugino della protagonista Alice Vavasor e suo vecchio fidanzato, ha alle spalle un omicidio per legittima difesa, vive di espedienti, compresa una carriera politica finanziata dalla medesima cugina. Un mantenuto perfido e astutissimo, un plagiatore di studiata abilità. Non ha ideali alternativi al proprio successo. Cerca infine di assassinare il corretto e cavalleresco Grey e fugge in America.

1. Julian Felsemburgh (Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson)

Sommo sacerdote di una finta religione umanitaria e, di fatto, anticristiana, predica la pace universale e si traveste da nuovo Cristo, ma ne è il più fiero avversario. Il suo fascino magnetico è pari alla sua indicibile doppiezza. Prestigiatore e illusionista, inganna tutti. Quasi tutti. Figura terribile di un romanzo, fu pubblicato nel 1907, straordinariamente profetico.

mercoledì 20 aprile 2022

Il cappello del prete di Emilio De Marchi

Non ha avuto, soprattutto non ha oggi, il successo che avrebbe meritato, soprattutto il successo che meriterebbe, Il cappello del prete di Emilio De Marchi, romanzo apparso a puntate nel 1887. Opera originalissima, godibilissima, un giallo, quando di giallo nemmeno si parlava, ambientata a Napoli e dintorni, ma che profuma anche d'Inghilterra, perché il barone Carlo Coriolano di Santa Fusca è abituale frequentatore di un club e certe sue abitudini da perdigiorno annoiato e indebitato ci ricordano quelle di tanti personaggi dei romanzi di Dickens e di Trollope. L'intreccio è notevole e spassoso, le battute sul giornalismo, che in assenza di notizie sarebbe disposto a fabbricarne, sono fulminanti. E straordinarie le atmosfere, quelle che più si ricordano dopo aver letto il libro. De Marchi sembra quasi un Simenon ante litteram, senza però quell'ansia incombente, quel disagio perenne, quella sensazione claustrofobica che domina i romanzi del belga senza Maigret. Si tratta di un libro sulla coscienza e i suoi tormenti. E, a suo modo, sulla giustizia. Che, alla fine, quasi senza darlo a vedere, ripara i torti e ristabilisce l'ordine.

"I misteri di Marsiglia" di Zola

Un roman feuilleton a firma di Zola, prima che Zola diventi il maestro del realismo francese, che pure, nell'opera giovanile I misteri di Marsiglia (1867), s'intravede, qua e là.

Un amore contrastato, lui di condizione sociale inferiore a quella di lei, lui, Philippe Cayol, un avventuriero, lei, Bianca de Cazalis, un'ingenua, la fuitina, sì c'è anche quella, la famiglia di lei, meglio lo zio e tutore, che li cerca, la cattura, il processo rumoroso e la condanna di lui, l'abiura di lei, la fuga di lui, poi il figlio della colpa, infine l'espiazione e la redenzione che culminano con la morte di tutti e due per via del colera. Ma, il figlio sopravvive.

Emile Zola


Raccontata così, raccontata anche male, per carità, questa storia si fatica ad intestarla a Zola. Eppure è tutta sua. Ed è bella, avvincente, piena di quei colpi scena tipici del romanzo tout court, non soltanto del romanzo ottocentesco, quando ancora non si era rinunciato all'ambizione di stupire e sorprendere il lettore e, sì, anche di tenerlo sveglio, a forza di scossoni, davanti al fuoco del camino. Ne risulta comunque un affresco riuscito della Marsiglia e della Provenza e forse del Midì degli anni '40 del diciannovesimo secolo. E della Francia di Luigi Filippo. E della giustizia che vi si praticava, che aveva mantenuto, attraverso manifestazioni di durezza e di belluina ostentazione, come la gogna, qualcosa di profondamente antico. Verrebbe da dire medievale. Se prima non ci fosse stata la rivoluzione francese. O forse proprio perché c'era stata. Ma, questa sarebbe un'altra storia. 

martedì 19 aprile 2022

La cieca di Sorrento di Francesco Mastriani

Pochi romanzi hanno avuto la fortuna di pubblico conosciuta dal romanzo che Francesco Mastriani diede alle stampe nel 1852: La cieca di Sorrento. Mastriani, che, ai tempi suoi, Croce dixit, leggevano tutti ad eccezione delle classi colte, fu un romanziere straordinariamente prolifico, capace di attraversare e, in qualche modo, d'inventare o di precorrere, più generi letterari, con un stile spesso notevole, anche quando le esigenze della vita pratica lo costringevano a ritmi produttivi durissimi.

Mastriani ambienta la sua storia a Napoli e protagonista ne é Gaetano Pisani, un giovane povero, tanto acuto quanto d'aspetto infimo. Povero, poverissimo. Porta il peso della sciagurata fine del padre.

Perché leggere un libro di 170 anni fa, che non viene annoverato tra i classici? 

Per calarsi nella Napoli degli anni '40 (è ambientato allora) del diciannovesimo secolo, quand'era ancora la capitale del più importante stato della penisola italiana; perché i continui colpi di scena, anche quelli più sorprendenti e spiazzanti, sono tenuti assieme dalla sbrigliata fantasia dell'autore; perché in quest'opera ingiustamente trascurata dalla critica, sia pure in forma embrionale, convivono elementi del romanzo psicologico, del poliziesco e, sì, anche del verismo. Un verismo appena abbozzato, forse di maniera, e certamente ante litteram, che, tuttavia, merita di essere approfondito. Non a caso, dal romanzo di Mastriani, pur con delle variazioni, talora significative, alla trama, furono tratti tre film: nel 1934, per la regia di Malasomma, nel 1953, per la regia di Gentilomo, e nel 1963, per la regia di Nick Nostro. Leggendo La cieca di Sorrento, vi renderete conto di essere di fronte a qualcosa di diverso dal tipico feuilleton. E nella vicenda del protagonista qualcuno potrà forse scoprire delle somiglianze, forse esagero, con un certo Raskolnikov. 


Perché Gogol' è il padre del romanzo russo. E non solo

Gogol' e il romanzo Le anime morte   Lo scrisse e lo riscrisse, dopo averne distrutto parti a più riprese, per quasi 20 anni: una gestaz...