mercoledì 20 aprile 2022

Il cappello del prete di Emilio De Marchi

Non ha avuto, soprattutto non ha oggi, il successo che avrebbe meritato, soprattutto il successo che meriterebbe, Il cappello del prete di Emilio De Marchi, romanzo apparso a puntate nel 1887. Opera originalissima, godibilissima, un giallo, quando di giallo nemmeno si parlava, ambientata a Napoli e dintorni, ma che profuma anche d'Inghilterra, perché il barone Carlo Coriolano di Santa Fusca è abituale frequentatore di un club e certe sue abitudini da perdigiorno annoiato e indebitato ci ricordano quelle di tanti personaggi dei romanzi di Dickens e di Trollope. L'intreccio è notevole e spassoso, le battute sul giornalismo, che in assenza di notizie sarebbe disposto a fabbricarne, sono fulminanti. E straordinarie le atmosfere, quelle che più si ricordano dopo aver letto il libro. De Marchi sembra quasi un Simenon ante litteram, senza però quell'ansia incombente, quel disagio perenne, quella sensazione claustrofobica che domina i romanzi del belga senza Maigret. Si tratta di un libro sulla coscienza e i suoi tormenti. E, a suo modo, sulla giustizia. Che, alla fine, quasi senza darlo a vedere, ripara i torti e ristabilisce l'ordine.

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